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Antonio Monticini

Persona

ballerino

Milano / Torino


Biografia   

Antonio, figlio di Giovanni e Teresa, nacque a Milano nel 1792 o nel 1793. Avviato fin da piccolo alla carriera dei genitori, danzò come «amorino» accanto alla madre, a Torino e a Trieste. Si esibì sempre sotto la guida del padre fino al 1812, quando, divenuto primo ballerino serio, entrò in contatto col nuovo genere di ballo pantomimo ottocentesco, ballando con Gaetano Gioia (Il ritorno di Ulisse in Itaca, Reggio, teatro Municipale, Fiera, 1812) e ancora nel 1819 a Rovigo, Padova e Firenze. Danzò anche insieme a Giovanni Galzerani, e quando questi passò alla coreografia interpretò tra gli altri uno dei suoi balli più riusciti: Virginia. Formatosi nel rapporto con questi massimi esponenti del ballo pantomimo, tecnicamente era un primo ballerino dotato, come testimonia la valutazione di uno spettatore straniero che nella primavera del 1818 alla Pergola di Firenze lo considerò migliore del francese Antoine Paul, danzatore aérien in voga negli anni Venti (Maxwell, 1842). Questa perizia lo aiutò nell’inventare ballabili ingegnosamente e brillantemente intrecciati. Nel 1821 partecipò all’ultima stagione di Salvatore Viganò alla Scala, interpretando i balli Le Sabine in Roma e Giovanna d’Arco.
Nella primavera del 1820 conobbe Maria (Marietta) Carcano, ballerina anch’essa, che sposò l’anno dopo e dalla quale ebbe un figlio, Alessandro, il quale partecipò decenne ai balli del padre nel 1842 e 1843. Sono citati nei programmi anche un N. Monticini (il nome completo non è conosciuto) «d’anni 5 circa» a Roma nel 1842 e un Aladino Monticini «d’anni sei» nel 1851 a Firenze.
Risale al Carnevale 1822 la prima produzione da coreografo di Antonio: la presidenza del teatro La Fenice, insoddisfatta dello scarso successo ottenuto dai balli di Carlo Augusto Favier, lo incaricò di comporre un balletto; egli propose Violenza e Costanza, ossia Il castello degli spiriti, un lavoro di Louis Henry. Segnalò sempre la paternità dei lavori riprodotti, come Madamigella d’Alençon di Giovanni Casati, o La Legge di Brama ossia Valcurt e Bezai da I riti indiani di Gaetano Gioja. Da quel momento, e per 32 anni consecutivi, fu tra i coreografi più ricercati e acclamati.

Il suo modo di comporre può essere riassunto dal giudizio stilato da Luigi Prividali, librettista e compilatore del Censore universale dei teatri (1831, pp. 112 s.): «Prima avvedutezza di questo coreografo è quella di scegliere soggetti suscettibili di effetto teatrale, seconda di approfittare ingegnosamente d’una tale prerogativa»; dalla sapienza e diligenza nell’amalgamare i gesti e le espressioni delle prime parti con quelli del corpo di ballo «risulta la gran perizia nella conoscenza e nell’esercizio tecnico dell’arte sua, giacché tutto il suo personale è distribuito e disposto con misura e proporzione armonica, ove tutte le parti formano un complesso pittorico e di bell’effetto, senza che i movimenti delle grandi masse, anche nei momenti del maggiore scompiglio, offrano mai confusione».
Si riconosce la scuola viganoviana nell’impiego del corpo di ballo, sempre assai curato ed elogiato.

Anch’egli come il grande maestro sottometteva la danza pura all’intreccio: nell’Avvertimento all’azione mimico-istorica Beatrice di Tenda (Milano, teatro alla Scala, autunno 1832), precorritrice dell’opera di Felice Romani e Bellini, annuncia di non essersi disperso nei ballabili, poiché la natura del soggetto non ne offriva il destro. Abilissimo nel trattare il dialogo mimico, poté valersi d’interpreti del calibro di Giuseppe Bocci, Domenico Ronzani, Effisio Catte, oltre alla moglie Marietta, protagonista in quasi tutti i suoi lavori. Accanto ai soggetti mitologici (Meleagro ovvero La vendetta di Diana, Telemaco all’isola di Calipso) trattò temi storici sia antichi (Genserico in Roma, Costantino il grande) sia moderni: La caduta di Negroponte, dato alla Pergola di Firenze nella primavera 1833 (ripresa coi titoli I Veneziani a Costantinopoli o Anna Erizo ossia La presa di Negroponte), soggetto già trattato nel Maometto II di Cesare Della Valle e Gioachino Rossini (1820), intreccia la vicenda sentimentale dell’infatuazione di Maometto II per Anna Erizo con la strenua difesa dei Veneziani a fianco dei Greci contro i Musulmani. Erano nelle sue corde anche i balli di mezzo carattere: si ricordano I viaggiatori all’isola d’Amore e L’orfana di Ginevra, che ebbe fra i principali interpreti Domenico Ronzani nella parte del malvagio Volman. Secondo la prassi coeva, Monticini influenzò e fu influenzato dal melodramma: oltre a Beatrice di Tenda, coreografò La Straniera dall’opera di Bellini (Alessandria, teatro Comunale, autunno 1829) e Marino Faliero dall’omonima tragedia lirica di Donizetti (Torino, teatro Regio, Carnevale 1840). Attinse anche dalla letteratura romantica inglese e francese: Ann Radcliffe (Il masnadiere siciliano), Walter Scott (I corsari di Warroch, La fidanzata scozzese), Victor Hugo (Esmeralda, la prima resa coreografica di Notre- Dame de Paris). Come tutti i coreografi di scuola italiana venne travolto dalla novità del ballo romantico e dalle sue «stelle»: per Fanny Cerrito (con cui aveva lavorato a Napoli quando ella era diciassettenne) compose Il genio e la maga (Bologna, teatro Comunitativo, autunno 1840) e La figlia dell’aria (Genova, teatro Carlo Felice, Carnevale 1841); collaborò anche con Flora Fabbri, Nathalie Fitzjames, Melina Marmet, Augusta Maywood, Adeline Plunkett, Arthur Saint-Léon e Maria Taglioni. I suoi lavori, assai popolari, restarono a lungo in repertorio, tanto in Italia quanto all’estero (Lisbona e Vienna), fino a una quindicina d’anni dopo la sua scomparsa. Morì a Torino nel 1854.

fonte: dizionario biografico degli italiani, voce a cura di Rita Zambon1854 (treccani.it)

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