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Feo Belcari

Persona

librettista

, Firenze


Biografia   

BELCARI, Feo. - Nacque a Firenze il 4 febbr. 1410 da Feo di Coppo, appartenente a famiglia dell'alta borghesia fiorentina, ma di origine senese (Feo è più probabilmente accorciativo di Maffeo che di Alfeo). Educato severamente secondo le norme di una solida, ma pur aperta ed umana religiosità, pare si sia dedicato piuttosto tardi, allo studio e all'esercizio delle lettere. Fu per molti anni scrivano presso la basilica di S. Lorenzo al Monte, con l'incarico di occuparsi dell'amministrazione del denaro capitolare presso il Monte comune. Segno di questa sua attività rimane, negli archivi della basilica, un'autografa "ricordanza" sulla consacrazione della cattedrale di Firenze (1436).Intanto si sposava (intorno al 1435)con Angiolella di Tomaso di Gherardo, della nobile famiglia, dei Piaciti, e dal matrimonio nacquero parecchi figli, fra i quali è particolarmente da ricordare una suor Ursula, monaca del monastero di S. Brigida. E cominciava a farsi notare per la sua attività letteraria, generalmente ispirata ad un profondo, ma anche domestico e popolarescamente tradizionale sentimento religioso. Al gennaio del 1445 risale la fine della compilazione del Prato spirituale; ed è del 1449 la Vita del beato Giovanni Colombini, dell'anno stesso cioè in cui nella chiesa di S. Maria Maddalena in Cestelli fu eseguita la sua Sacra rappresentazione di Abraam e di Isaac suo figliuolo, fra le più antiche, dunque, del genere. È probabile che la notorietà letteraria del B., dovuta anche alla composizione di Laudi e di altre opere, favorisse il suo inserimento nel governo della cosa pubblica; sicché, oltre che priore nel luglio-agosto del 1454, fu per due volte (1451 e 1458) dei Dodici Buoni Uomini, e infine (1468) dei gonfalonieri delle Compagnie del Popolo. Del resto, codesta attività politica si appoggiava alla solidale potenza dei Medici, dei quali il B. fu e si disse familiare e cliente (ai Medici sono dedicate talune fra le sue opere più importanti e significative). Nella quaresima del 1471, quando, prediletto da Lucrezia Tornabuoni, onorato da tutti, fece rappresentare a Firenze, in S. Felice in Piazza, la sua Sacra rappresentazione dell'Annunziazione di Nostra Donna, in occasione della visita del duca Galeazzo Sforza, il B. era ormai assurto a personaggio segnalato della vita politica e culturale di Firenze. E a Firenze morì il 16 ag. 1484. Fu sepolto nella sacrestia di S. Croce, non lontano dall'altare alla beata Umiliana, che 'era stato fatto erigere dalla sua religiosa pietà.
Fu già attribuito al B. un lungo elenco di opere, il quale può essere utilmente consultato più che nel Gamba (Notizie...), nella ultima parte dell'introduzíone alle Rappresentazioni di F. B.nell'edizione fiorentina del Moutier (1833). Fra l'altro, furono considerate cose sue quella famosa Novella del grasso legnaiuolo e anche, in conseguenza, quella Vita di Filippo Brunelleschi, le quali - molto lontane dallo stile e dal mondo del B. - sembra invece debbano essere restituite, secondo l'opinione di G. Milanesi (V. G. Papanti, Catalogo dei novellieri italiani in prosa, Livorno 1871, II, pp. 11 s.), per altro ancora discussa dagli studiosi (cfr. per ultimo C. Varese, Prosatori..., p. 767), ad Antonio di Tuccio Manetti. In verità, appartengono effettivamente al B. la Vita del beato Giovanni Colombini, alcune Sacre rappresentazioni, numerose Laudi, il volgarizzamento del Prato spirituale; e su questi scritti soprattutto sono stati formulati i giudizi critici che lo riguardano.
La Vita del beato Giovanni Colombini piacque agli scrittori che esaltavano la lingua del secolo aureo e ne raccomandavano l'uso (il Giordani, scrivendo al Cesari il 24 febbr. 1827, la paragonò ad "un arancio in gennaio, un frutto del Trecento nel Quattrocento", e ne definì l'autore, scrivendo al Leopardi nel giorno dell'Ascensione del 1817, "scrittor purissimo e di utilissima semplicità"), poiché è composta con quella lindura ed immediatezza spontanea e perspicua, che pur l'ha fatta avvicinare al mondo ed allo stile dei Fioretti.
È dedicata al magnifico Giovanni di Cosimo de' Medici; e proprio dalla dedica si desume che fu scritta dopo il volgarizzamento del Prato spirituale (completato, come s'è detto, nel gennaio del 1445), e che le sue fonti sono un "compendio" sulla conversione e morte del beato, che l'imolese Giovanni Tavelli da Tossignano scrisse "per contemplazione di Messer Nicolò da Bologna, reverendissimo Cardinale di Santa Croce"; la Vita dello stesso, scritta dal senese Cristofano di Gano; le "epistole di mano del Beato Giovanni" e, infine, assai notevole indicazione, "carte di pubblici notai". Da queste fonti il B. ha cavato 50 capitoli, che narrano "la venerabile e santa vita del Beato Giovanni Colombini, il quale fu il primo dei poveri per Gesù detti Gesuati".
Più ricca forse si rivela una qualche vena poetica nelle Sacre rappresentazioni e nelle Laudi, opere che opportunamente vanno considerate e giudicate insieme, sia per l'affinità dei temi e dell'ispirazione, sia per il loro carattere sociale-letterario, che contribuisce ad accostare particolarmente le Sacre rappresentazioni (in ottave) ai toni stilistici e ai modi epico-popolareschi dei cantari. Di solito si ricordano del B. tre Rappresentazioni: quella D'Abraam e di Isaac suo figliuolo (1449), l'altra Di Santo Giovanni Battista quando andò nel deserto (prima del 1470, ampliata di 16 stanze da Tommaso Benci), e quella Dell'annunziazione di Nostra Donna (1471); ma è da notare che a lui è anche, e con buon fondamento, attribuita una breve rappresentazione Di San Panuzio.Si tratta in genere di letteratura biblica, liturgica, agiografica, tradotta in una parvenza di dramma; di "auree legende" insomma, la cui narrazione è in qualche modo drammatizzata nel suo svolgimento cruciale, nel suo punto critico e risolutivo. L'edificazione spirituale è, infatti, la motivazione, di gran lunga prevalente su ogni altra, di siffatta attività, anche se è doveroso riconoscere al B. almeno la capacità di calare talora la "legenda" in un ambiente familiare, di vita quotidiana, in un mondo di sentimenti elementari ed inunecliati, in cui ogni spettatore in fondo poteva ritrovare una parte di se stesso. Ciò sia detto anche per le Laudi, nelle quali l'intento edificante supera e forse anche soffoca ogni eventuale effusione lirica; e anche, infine, per il Prato spirituale, che può essere accostato alla Vita del beato Giovanni Colombini, essendo il volgarizzamento di un'ampia raccolta di vite di santi, che Ambrogio Traversari aveva scritto in latino, traducendo, a sua volta, da un'opera in greco dell'abate Giovanni Evirato. L'attività del B., dunque, si esaurì, come recentemente ha osservato il Varese (Prosatori..., p. 3) in una. "elaborazione e sistemazione di forme letterarie devote", nelle quali l'autore alla nitida e trasparente spiritufdità trecentesca seppe con equilibrio aggiungere un più consapevole senso critico, segno dei tempi. Ma a lui mancarono insomma temperamento di poeta e slanci di mistico credente. Anche la letteratura di devozione sembra adeguarsi con il B. alla nuova Firenze medicea, assumendo aspetti di piacevole intrattenimento e di amabile confabulazione.
Le altre opere del B., meno impegnative e meno importanti, potrebbero pur confermare siffatto giudizio e recame ulteriori prove. La sua capacità di traduttore e rielaboratore a scopo d'edificazione religiosa e morale è infatti testimoniata da una Vita dì frate Egidio, a lui assegnata da V. Rossi (Il Quattrocento, p. 193), nella quale il compilatore avrebbe contaminato la Historia Beati Aegidii con gli Aurea verba dello stesso; e dalla traduzione dal latino del Trattato e di quasi tutti i Detti (l'uno e gli altri dubbiosamente iacoponici) a lui da taluni attribuita (per es., dal Varese, Prosatori..., p. 3).D'altronde testimonianza più sicura della mancanza di temperamento poetico da parte del B. sono le Rime, in verità quasi tutte di corrispondenza, le quali ripetono la fiacchezza psicologico-stilistica delle Laudi.Nulla infine aggiungono al suo riconosciuto garbo di prosatore, al suo misurato equilibrio, alla sua lingua fresca, alla sua interiorità popolarescamente volta alla fabulosa meraviglia delle vite nùracolose, la già citata "ricordanza" autografa e le tre sue lettere che pur ci sono pervenute (alla figlia suor Ursula sull'umiltà; "a un suo amico", di morale esortazione; a Piero dì Pippo della Compagnia di S. Ierionimo di Pistoia, sulla disciplina di questa nuova Compagnia). Occorrerà per altro precisare che le lettere sono percorse qua e là da un calore spirituale e da una nervatura, stilistica che sembrano derivare da Guittone d'Arezzo.

Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani, voce curata da M.Marti

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