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Gian Emilio Malerba

Persona

cartellonista

, Milano / , Milano


Biografia   

Gian Emilio Malerba (Milano, 27 novembre 1880 – Milano, 31 marzo 1926) è stato un pittore italiano.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Studia all'Accademia di Brera con Tallone e Mentessi esordendo nel 1906 con un'esposizione della stessa Accademia. Le sue prime opere risultano influenzate dai modi della Scapigliatura lombarda. Nel 1913 consegue il premio Canonica e l'anno successivo il suo dipinto Il cappello nero è acquistato dal re d'Italia. Nel 1916 ottiene un premio dal Ministero dell'Istruzione.
Intanto la sua arte evolve in composizioni più nitidamente costruite. Espone alla XIII Biennale di Venezia con dipinti, tra cui il celebre Maschere, che sono già in sintonia con la nuova corrente di Realismo magico.
Nel 1922 è anche tra i fondatori del gruppo di Novecento che espone a Milano l'anno successivo alla galleria Pesaro con il dipinto La collegiale che viene acquistato dalla Galleria d'arte moderna di Lima.
Scompare prematuramente all'età di quarantasei anni mentre si preparava a partecipare alla Prima Mostra del Novecento Italiano alla Permanente di Milano.

fonte: wikipedia

MALERBA, Emilio, detto Gian Emilio. - Nacque a Milano il 27 nov. 1878 dall'antiquario Maurizio e da Ermenegilda Vacchini (fu registrato con i nomi Emilio Giuseppe Giovanni e adottò quello di Gian Emilio). Spinto dal padre, che apprezzava le sue doti artistiche, nei primi anni Novanta si iscrisse all'Accademia di belle arti di Brera, dove fu allievo di Giuseppe Mentessi e di Cesare Tallone, dai quali assimilò la tradizione pittorica del naturalismo lombardo.
Iniziò a lavorare presto come cartellonista nel campo della pubblicità industriale, disegnando i manifesti per le Biciclette Stucchi di Milano (1902, 1903); nel 1903 entrò in contatto con l'editore Giulio Ricordi, per il quale realizzò anche spartiti musicali di canzoni. Nonostante le collaborazioni con altri stampatori (l'editore italo-francese Edmondo Chappuis di Bologna, legato alla diffusione del gusto liberty; i fratelli Armanino con stabilimenti a Genova e Milano; Giordano Valcarenghi di Milano), quella più proficua e duratura fu proprio con le Officine grafiche Ricordi, le quali, già da anni, avevano affiancato all'editoria musicale la stampa di manifesti, investendo nei procedimenti cromolitografici e creando un lavoro di squadra tra tecnici riproduttori e artisti, assicurandosi le maggiori firme della prima cartellonistica italiana e importanti committenze, come quella ventennale con i Magazzini Italia di A. & E. Mele di Napoli.
Per la ditta napoletana il M. firmò quattro manifesti pubblicitari, caratterizzati da una calibrata combinazione tra elementi linguistici tradizionali e nuovi dispositivi visivi mutuati dalla fotografia e dalla stilizzazione modernista. I primi due, raffiguranti rispettivamente una scena galante di seduzione sulla spiaggia (1903-05: Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) e una passeggiata domenicale nel parco (1905: Ibid., collezione privata), mostrano uno stile narrativo e pittorico, se non addirittura illustrativo, che non rinuncia al disegno né al chiaroscuro per ottenere i volumi, ma attento alla lezione impressionista del colore tonale.

Contemporaneamente esordiva come pittore, esponendo nel 1906 due dipinti alla I Mostra nazionale di belle arti di Milano: Convalescente (ubicazione ignota) e un ritratto della sorella, La signorina Anna Maria Malerba (già Milano, collezione Malerba), costruito per larghe pennellate di colore e affine, per iconografia e stile, alla ritrattistica scapigliata di Antonio Ambrogio Alciati. Il 4 maggio dell'anno seguente sposò Amalia Diani.
Proseguì la realizzazione di manifesti per la ditta Mele caratterizzati da una impaginazione sempre più rigorosa e da un più autonomo linguaggio grafico, come testimonia l'incisiva réclame del 1906 (Napoli, già collezione Mele, ora Museo nazionale di Capodimonte): priva di profondità spaziale, giocata su due soli colori, il bianco e il verde scuro, e su un dinamico gioco di diagonali creato da un'unica figura femminile debitrice del sintetismo immediato e seduttivo di L. Cappiello. Ascendenze parigine, derivate dai rinnovati soggiorni nella capitale francese, si riscontrano nel più famoso manifesto del 1910 (Treviso, Museo L. Bailo, Raccolta Salce: altro esemplare a Napoli, collezione privata), raffigurante due eleganti signore con levriero in uno scenario naturalistico realizzato a tinte piatte. All'interno della sua attività in campo pubblicitario il M. disegnò anche le copertine di alcuni periodici concepite come veri e propri manifesti in formato ridotto.
Importante fu in questo ambito la collaborazione alla Rivista mensile del Touring, documentata dal 1908 (1908: n. 9, Società petroli d'Italia; n. 10, Campari; n. 11, Società anonima Pellicce; n. 12, Pirelli; 1909: n. 2, Cicli Stucchi; 1910: n. 8, Circuito aereo internazionale; n. 9, Società anonima italiana di assicurazione; n. 12, Campari), ma probabilmente iniziata anche prima, in considerazione degli stretti e ripetuti contatti del M. con personaggi del mondo dello sport e, soprattutto, del ciclismo. Per le biciclette Marca Milano (1910: Treviso, Museo civico L. Bailo, Raccolta Salce) costruite dalle Officine di E. Flaig, il M. immaginò una ieratica figura allegorica di Milano, di gusto secessionista e debitrice dell'iconografia umbertina, che sorregge l'insegna della ditta sullo sfondo del duomo.
Dopo la locandina per il concorso nazionale di fotografia di Milano del 1909, il M. realizzò réclame per le cartucce della milanese Leon-Beaux & C., per La Tribuna di Roma (1910: Milano, Castello Sforzesco, Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli) e, sempre in collaborazione con le Officine Ricordi, firmò quella per l'Estratto tamarindo della Carlo Erba di Milano (1912) e quella per gli Zolfi Poggi & Astengo di Savona (1914), caratterizzata quest'ultima da vivaci notazioni realistiche e da una costruzione per campiture cromatiche compatte e sintetiche di matrice nabis e gusto neoimpressionista.
Contemporaneamente, iniziò a partecipare regolarmente alle Esposizioni nazionali di belle arti ordinate dall'Accademia di Brera con opere legate alla tradizione scapigliata di T. Cremona e D. Ranzoni, ma aggiornate su inquadrature di tipo fotografico e incentrate su un'attenta descrizione di stati d'animo femminili. Dopo L'onomastico (ubicazione ignota) presentato nel 1910, espose nel 1912 Sensazioni (ubicazione ignota), legato alla cultura simbolista sin nella scelta del tema, e Il cappello nero (Roma, palazzo del Quirinale), acquistato nel 1914 da re Vittorio Emanuele III. Nel 1913 vinse con Mezza figura di donna alla toeletta il concorso Luigi Canonica.
Passando indenne attraverso la stagione futurista, nella seconda metà degli anni Dieci il M. giunse, progressivamente e con alterne vicende, ad abbandonare la tradizione pittorica lombarda per volgersi a una pittura di raffinata sensualità e di saldo plasticismo formale, rigorosamente costruita, in un ciclo di studi di giovinette che accompagnò la sua ricerca fino agli anni Venti (Ritratto della sorella, 1914: Monza, galleria Montrasio; Fanciulla con treccia, 1919 circa: Ibid., galleria Antologia).
In occasione dell'Esposizione nazionale del 1916 ottenne una medaglia d'oro del ministero della Pubblica Istruzione con il dipinto Pietà (già Milano, collezione Orlandi), che, pur sempre legato a un tema simbolista, mostrava la tendenza a un severo realismo, confermata anche dall'Autoritratto del medesimo anno (ripr. in Il "Novecento" milanese. Otto pittori(, p. 32). La sua pittura smaltata e obiettiva raggiunse la maturità intorno al 1920, anno in cui il M. partecipò alla XII Biennale di Venezia con Il fiore ed espose alla mostra annuale dell'Accademia di Brera Femmina volgo (Darfo Boario Terme, collezione privata).
Nonostante il carattere aneddotico ancora vicino alla pittura di genere, il dipinto mostrava l'interesse per una fisionomia oggettiva e penetrante; un taglio fotografico perentorio, ribadito nei due quadri appesi al muro bruscamente esclusi dall'inquadratura. La fattura pittorica, brillante e mimetica, contribuiva a creare un enigmatico fermo-immagine sullo scorrere della vita, che era poi il segno della "nuova oggettività", sostenuta in Italia da M. Bontempelli e dalla rivista romana Valori plastici e rappresentata in Germania dai pittori della Neue Sachlichkeit.
L'anno successivo U. Ojetti lo invitò a esporre presso la galleria di Lino Pesaro in via Manzoni a Milano in una collettiva di arte italiana contemporanea. In quell'occasione il M. presentò La collegiale (Lima, Museo de arte) ed entrò in contatto con L. Dudreville e A. Bucci. Con loro e con i pittori A. Funi e P. Marussig, partecipò nel 1922 alla XIII Biennale di Venezia, dove espose il dipinto Le maschere, raffigurante un gruppo di persone in un interno (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Nel quadro, in cui compariva la stessa modella di Femmina volgo, la pittura del M. evolveva verso una più articolata composizione dello spazio e le figure, nitidamente costruite, occupavano "il giusto posto nel logico raggruppamento di tutte" (Somaré, p. 9).
Nel settembre del 1922 iniziò a incontrarsi periodicamente, presso L. Pesaro, con Bucci, Dudreville, Marussig, Funi, U. Oppi e M. Sironi per costituire un nuovo gruppo, "Novecento", che trovò subito la propria ragione critica nel patrocinio di Margherita Grassini Sarfatti, il cui salotto in corso Venezia a Milano era frequentato da politici, letterati e artisti. In novembre, insieme con Funi, Dudreville, Marussig e Oppi, il M. prese parte alla Mostra d'arte italiana contemporanea (Ritratto di ragazza, Natura morta) ospitata da Bottega di poesia, che riuniva anche altri artisti, quali C. Carrà, A. Tosi e A. Salietti, parimenti volti a una "concretezza e semplicità, limpidità della forma", all'"esclusione [(] del casuale e dell'arbitrario, dell'impreciso e dell'oscuro", come scrisse la Sarfatti (I quadri a Bottega di poesia, in Il Popolo d'Italia, 10 nov. 1922: Il Novecento milanese. Da Sironi(, p. 40). A dicembre, per la festa di S. Ambrogio, ci fu la presentazione ufficiale del gruppo presso la galleria Pesaro.
In tale occasione gli artisti si impegnarono a esporre solo in collettiva e ad avere come unico punto di riferimento la galleria, la quale, a sua volta, si impegnava a sostenere le spese di promozione e cedeva loro una vetrina sul Corso per esporre a turno un'opera. Attraverso L. Pesaro il M. ebbe modo di aggiornarsi sul contemporaneo dibattito francese fra purismo e "ritorno all'ordine", grazie alla presenza nel 1923 del pittore Émile Bernard che, esponente in gioventù dei Nabis e amico di P. Gauguin e P. Cézanne, era approdato a una concezione classicistica fondata sull'eliminazione degli elementi caratteristici e individuali, come egli stesso spiegò nella conferenza Mes voyages et mon évolution artistique (Il Novecento milanese. Da Sironi(, p. 21).
Dopo la consacrazione ufficiale del gruppo dei "Sette pittori del Novecento", nel marzo 1923 presso la galleria Pesaro, nel 1924 il M. prese parte alla mostra del gruppo ordinata da V. Pica alla XIV Biennale di Venezia, dove presentò tre dipinti: Nudo (1923-24: collezione privata), Mezza figura (inviata nel gennaio 1928, dopo la morte dell'artista, alla mostra "Neue italienische Malerei" curata da Franz Roh al Kunstverein di Lipsia) e Bambine (o Concerto: già collezione Luigi Macchi).
Era una pittura meticolosa, di volumetrico realismo e geometrica impaginazione, ispirata a precisi principî estetici posti dal M. alla base della propria ricerca: "facoltà d'organizzazione, finezza rigorosa. Costruzione armoniosa, sobrietà lineare, ricchezza di espressione" (Appunti autografi degli anni 1920-25: Lorandi, 1979, p. 224 n. 2). Qualità che trovarono un naturale punto di riscontro nella posizione critica della Sarfatti, la quale, nella presentazione in catalogo, elogiò "gli smalti cromatici" e i "delicati e sapienti passaggi di tono" (Mostra dei Sei pittori del '900(, Venezia 1924, p. 76). Le critiche e le polemiche che cominciarono subito a sorgere dentro e fuori Novecento spinsero il M., a maggio, a dare le dimissioni, concorrendo allo scioglimento del gruppo.
Nel dicembre dello stesso anno partecipò con Oppi all'esposizione di venti artisti italiani presentata da Ojetti alla galleria Pesaro, che ormai aveva preso le distanze da Novecento. Alla mostra, tesa ad affermare la centralità dell'uomo nell'arte moderna, il M. espose un numero nutrito di opere tra cui Le amiche (inviato nel 1927 alla Mostra "Italienische Malerei" alla Kunsthaus di Zurigo), Testa d'Arlecchino (già Milano, collezione L. Pesaro; ripr. in Somaré, seconda di copertina) e due nature morte. A quest'ultimo genere il M. dedicò in quegli anni particolare attenzione, alla ricerca di una perfezione formale e compositiva che guardava a Masaccio, a Piero della Francesca, ma anche allo spirito logico di Cézanne, come testimoniano le due opere, entrambe intitolate Natura morta, della Civica Galleria d'arte moderna di Milano.
Intanto, nell'inverno 1924-25, il gruppo era stato nuovamente costituito dalla Sarfatti, ma su altre basi e con l'ambizione di un'aggregazione estesa a livello nazionale. Pur non presente nel comitato direttivo del nuovo Novecento (dove fu sostituito da Salietti), il M. fu invitato a esporre un suo dipinto, Nudo di giovinetta, alla III Biennale romana inaugurata a palazzo delle Esposizioni nel maggio 1925. Quello stesso anno era citato tra gli esponenti del realismo magico dal critico Franz Roh nel saggio Nach-Expressionismus - Magischer Realismus. Probleme der neuesten europäischen Malerei (Leipzig 1925: Fagiolo dell'Arco, p. 344) e la Sarfatti lo chiamava a esporre alla I Mostra del Novecento italiano, che si aprì al palazzo della Permanente a Milano nel febbraio del 1926. Mostra, alla quale il M. non poté però partecipare a causa dell'aggravarsi del suo stato di salute.
Il M. morì a Milano il 31 marzo 1926. L'anno successivo L. Pesaro gli dedicò una mostra retrospettiva, come fece, nel 1931, la galleria del Milione.

fonte: dizionario biografico degli italiani, voce a cura di Francesca Franco (treccani.it)










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