Contenuto di Public History

Umberto Giordano

Persona

compositore

, Foggia / , Milano


Biografia   

GIORDANO, Umberto. - Nato a Foggia il 28 ag. 1867 da Ludovico, farmacista, e da Sabata Scognamillo, fu destinato dal padre alla carriera di maestro di scherma, in considerazione dell'attitudine dimostrata sin da fanciullo, ma contro il parere dei genitori preferì invece dedicarsi alla musica. Per i primi rudimenti di pianoforte e solfeggio fu affidato a un dilettante, amico di famiglia che, resosi conto delle sue non comuni attitudini musicali, convinse il padre ad assecondarne la vocazione; continuò quindi gli studi con due insegnanti foggiani, Luigi Gissi e Giuseppe Signorelli.
Nel 1881, appena quattordicenne, prese parte al concorso per un posto gratuito nel collegio di musica del conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, ma non superò la prova di basso armonizzato e fu respinto. Tuttavia i saggi di composizione da lui presentati suscitarono l'interesse di Paolo Serrao, che gli impartì lezioni gratuite, consentendogli di superare il concorso dopo appena sei mesi. Entrato nel conservatorio napoletano nel 1882, studiò contrappunto e composizione con lo stesso Serrao, pianoforte con G. Martucci, organo con M.E. Bossi, e violino con A. Ferni. Dotato d'un naturale talento drammatico, nel 1889, ancora studente, compose l'operina in un atto Marina, su libretto di E. Golisciani, che inviò al concorso Sonzogno, lo stesso cui partecipò, uscendone vincitore, P. Mascagni con Cavalleria rusticana. Il lavoro del G., sebbene non sostenuto da un valido libretto, destò l'interesse di Filippo Marchetti e dell'editore Edoardo Sonzogno; quest'ultimo, pur non acquistando l'opera, grazie anche all'interessamento di Leopoldo Mugnone impegnò il giovane compositore con un contratto di 200 lire mensili e gli commissionò una nuova opera. Nacque così Mala vita, su libretto di Nicola Daspuro, ispirata alle Scene popolari napoletane di S. Di Giacomo e G. Cognetti, rappresentata al teatro Argentina di Roma il 21 febbr. 1892 con Gemma Bellincioni e Roberto Stagno, primi interpreti anche di Cavalleria rusticana.
Mala vita ottenne un lusinghiero successo e si segnalò per aver rappresentato una delle più interessanti espressioni del nascente verismo operistico, grazie al vigore con cui il G. seppe portare sulle scene la vita dei bassi napoletani, rappresentati in tutta la loro crudezza, come venne sottolineato dalle entusiastiche critiche ne Il Piccolo (21 e 25 giugno 1892) e nel Fortunio (6 luglio 1892). Il lavoro fu poi presentato nello stesso anno a Vienna (Staatsoper, 27 sett. 1892, con il titolo Das Gelübde), Berlino (Krolloper, 13 dicembre) e Praga, riscuotendo grandi consensi. A Napoli (S. Carlo, 26 apr. 1892), invece, l'opera cadde clamorosamente, soprattutto per l'eccessiva crudezza della vicenda; la critica sottolineò, comunque, la capacità di drammatizzazione del sofferto personaggio della protagonista, Cristina, che il G. seppe ben caratterizzare nella sua desolata vicenda con accenti di vibrante umanità. L'opera, in seguito, soprattutto per le insofferenze del pubblico e della critica, fu sensibilmente modificata, e rappresentata con il titolo Il voto al teatro Lirico di Milano (10 nov. 1897) in una versione edulcorata, poco credibile sotto il profilo drammatico, apprezzabile soprattutto per la scorrevole fluidità delle arie, in cui si ritrovano già quelle caratteristiche di esuberante immediatezza che saranno poi tipiche delle opere della maturità.
Frattanto il G. aveva affrontato un nuovo lavoro, Regina Diaz (G. Targioni Tozzetti e G. Menasci dalla Maria di Rohan di S. Cammarano, Napoli, teatro Mercadante, 5 marzo 1894), che si rivelò un clamoroso insuccesso, e indusse Sonzogno a licenziare il compositore. Concepita secondo gli ormai logori schemi del melodramma di stampo romantico, l'opera rivelò tuttavia le possibilità espressive del G., tanto da indurre Alberto Franchetti a schierarsi in sua difesa e a persuadere l'editore a offrirgli un'ulteriore possibilità: al G. venne affidato un libretto di L. Illica, Andrea Chénier, che era stato peraltro offerto allo stesso Franchetti, ma che questi cedette generosamente al collega. Per due anni il G., trasferitosi a Milano, si dedicò alla nuova opera, lavorando a diretto contatto con Illica, impegnato, tra l'altro, al libretto de La bohème di G. Puccini. Finalmente nel gennaio 1896 l'opera poteva essere consegnata all'editore, e il 28 marzo rappresentata al teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di R. Ferroni.
Il debutto fu preceduto, tuttavia, da problemi determinati dal giudizio negativo espresso da Amintore Galli, consulente musicale di Sonzogno, che definì l'opera "irrappresentabile", tanto che, in un primo momento, venne cancellata dal cartellone. In difesa del G. si schierò P. Mascagni e Andrea Chénier poté essere rappresentata con esito trionfale, anche grazie agli ottimi interpreti, tra cui G. Borgatti, Evelina Carrera e M. Sammarco, che contribuirono al successo della serata, rinnovatosi poi in tutti i teatri del mondo (New York, Academy of music, 13 nov. 1896; Torino, Regio, 28 dic. 1896, dir. A. Toscanini; 1897: Mosca, Pietroburgo, Buenos Aires; 1907: Londra, Covent Garden, con E. Caruso; 1938: Anversa, in fiammingo).
Nel 1896 il G. aveva sposato Olga Spatz, figlia del proprietario dell'hotel Milan. Ormai inserito di diritto tra i compositori più in vista del teatro musicale italiano, decise di affrontare un nuovo soggetto. La scelta cadde su Fedora, un dramma di V. Sardou cui aveva assistito anni prima al teatro Sannazzaro nell'interpretazione di Sarah Bernhardt. Chiesta l'autorizzazione a Sardou e approntato il libretto da A. Colautti, si pose subito al lavoro, e l'opera poté essere rappresentata al teatro Lirico di Milano il 17 nov. 1898, interpreti la Bellincioni e il giovane E. Caruso, che ebbe la sua prima grande affermazione e dovette bissare l'aria "Amor ti vieta". L'opera rinnovò il successo dell'Andrea Chénier, iniziando il suo trionfale tour attraverso i maggiori teatri del mondo; tra l'altro a Vienna (Staatsoper, 16 maggio 1900), fu diretta da G. Mahler, che manifestò tutta la sua stima al G., apprezzando in particolare la sua incisiva forza drammatica (Fedora venne in seguito rappresentata a Parigi, théâtre Sarah Bernhardt, 13 maggio 1905, dir. C. Campanini, con Lina Cavalieri, E. Caruso, Titta Ruffo; New York, Metropolitan, 5 dic. 1906, dir. A. Vigna).
A Fedora fece seguito Siberia (Milano, Scala, 19 dic. 1903, dir. Campanini, con G. De Luca e Rosina Storchio); portata a Parigi dall'editore Sonzogno, destò l'ammirazione del mondo musicale francese, ricevendo calorosi quanto inaspettati consensi da P. Lalo, A. Bruneau e soprattutto da G. Fauré, che in una lettera inviata alla moglie così scriveva a proposito del G., da lui incontrato sul lago Maggiore il 30 ag. 1906: "Lors des représentations italiennes de l'année dernière, il est le seul compositeur envers qui j'aie pu être aimable dans le Figaro […] Or, il paraît qu'il était fort contesté dans son pays, et que mon article a changé du tout au tout sa situation […]. On le traitait de fou, et il a suffit d'un article du Figaro pour l'élever à la dignité de grand homme. Oh, humanité" (Fauré, p. 125). E ancora nel 1911, dopo aver riascoltato Siberia all'Opéra, Fauré giudicò la partitura del G. superiore alla maggior parte delle produzioni della "giovane scuola italiana".
Va peraltro sottolineato, a conferma della stima goduta dal G. negli ambienti musicali francesi, come un brano tratto da Siberia fu riportato quale unico esempio di opera italiana nel trattato Technique de l'orchestre moderne (1904) di Ch.-M. Widor, supplemento al Grand traité d'instrumentation et d'orchestration modernes (1843) di H. Berlioz; inoltre, in occasione delle onoranze a Sardou (ott. 1910), lo stesso G. fu chiamato a dirigere il secondo atto di Fedora, e Siberia a partire dal 1911, fu inserita nel cartellone dell'Opéra (9 giugno 1911, trad. francese di P. Milliet; nuova versione Milano, Scala, 4 dic. 1927, dir. E. Panizza, con F. Merli e Bianca Scacciati).
Il G. si dedicò poi alla composizione di Marcella (L. Stecchetti da H. Cain ed E. Adenis, Milano, Lirico, 9 nov. 1907, dir. E. Perosio, con la Bellincioni e F. De Lucia; Milano, Scala, 23 apr. 1938, dir. F. Capuana, con Magda Olivero e T. Schipa), seguita nel 1910 da Mese mariano, due opere che, pur non prive di pregi, rivelano momenti di stanchezza, indizio d'una crisi che stava investendo non solo il G., ma, più in generale, tutto il mondo dell'opera italiana. Al 1915 risale l'opera comica Madame Sans-Gêne (R. Simoni, New York, Metropolitan, 25 giugno 1915, dir. Toscanini; Parigi, Opéra-Comique, 10 giugno 1916, trad. Milliet), un lavoro che sarebbe stato suggerito al G. da G. Verdi ai tempi dello Chénier; sappiamo comunque che la decisione di musicare il lavoro di Sardou e Moreau fu presa dal G. dopo aver assistito a una recita della grande attrice francese Réjane nel ruolo della lavandaia marescialla.
Gli ultimi due lavori del G., La cena delle beffe (S. Benelli, Milano, Scala, 20 dic. 1924, dir. Toscanini, con B. Franci e Carmen Melis; New York, Metropolitan, 2 genn. 1926, dir. T. Serafin, con B. Gigli e Titta Ruffo; Amburgo, con il titolo Das Mahl der Spötter, aprile 1929), e Il re (G. Forzano, Milano, Scala, 12 genn. 1929, dir. Toscanini, con Toti Dal Monte, E. De Muro Lomato e T. Pasero; Berlino, Staatsoper, 5 nov. 1929, trad. di W. Dahms), dopo un iniziale successo, non rimasero a lungo sulle scene, non avendo resistito al rinnovamento del linguaggio musicale. Tra l'altro nel 1921 il G. aveva affrontato con A. Franchetti il genere dell'operetta con Giove a Pompei (Illica ed E. Romagnoli, Roma, teatro La Pariola, 5 luglio 1921; Venezia, teatro Malibran, 17 luglio 1921), un lavoro pieno di dissacranti riferimenti che rivelarono nel G. il desiderio di uscire dai consueti moduli del teatro musicale e lo portarono ad affrontare situazioni inedite, ma comunque dettate dal desiderio di venire a contatto con le correnti più innovative del suo tempo.
Nominato accademico d'Italia nel 1929, continuò a dedicarsi alla composizione di liriche per voce e pianoforte, pezzi per pianoforte, musiche di scena, pezzi sinfonici e musica sacra. Fin dall'Andrea Chénier aveva adottato un sistema di notazione a suoni reali nelle chiavi di sol e di fa per tutti gli strumenti, anche quelli traspositori; il sistema, approvato dal Congresso musicale didattico del 1908, fu applicato dal G. anche nell'edizione delle nove sinfonie di Beethoven pubblicate da Ricordi.
Il G. morì a Milano il 12 novembre 1948.

Fonte: treccani.it

nella Rassegna Stampa Archivio il giorno della nascita è anticipato al 27.

Share

Documenti: corrispondenza